«Ricordo che da ragazzo, in un giorno d’estate, arrivai a casa assetato e, bevendo direttamente dal rubinetto che era in cucina, mi venne spontaneo esclamare: “Acqua azzurra, acqua chiara, con le mani posso finalmente bere…”. Mia madre mi vide e disse: “Quante volte ti ho detto di usare il bicchiere, scimunito!”. Fu per questo che non diventai Mogol».
Volevo essere Mogol è un florilegio di situazioni, ricordi, piccoli eventi e pensieri sparsi, raccontati con il garbo di un pittore, con poche pennellate precise, vivide ed eloquenti, ma è soprattutto il posto dove tutte le parole che avevamo pensato e poi non abbiamo detto, si sono date appuntamento. Una raccolta di fatti della vita in cui tutti possono riconoscere i propri, e sorriderne insieme all’Autore. Cannatà riprende il filo interrotto di quel sottile, pacato ed elegantissimo umorismo che lo unisce al suo maestro dichiarato, Achille Campanile, con una originalità e una freschezza che probabilmente anch’egli apprezzerebbe.